Un paio di settimane fa abbiamo ricevuto e pubblicato la lettera di un lavoratore di un azienda alimentare che si domandava fino a che punto può spingersi un dipendente “raccontando la verità su un prodotto, rimanendo onesto con i clienti e con se stesso senza però infrangere il rapporto che lo lega al datore di lavoro”.
In questo caso sarebbe più un problema di coscienza nei confronti dei clienti che ancora credono alla favola del prodotto di altissima qualità, fuorviati anche dalle campagne pubblicitarie d’effetto dell’azienda.