Lucia Calamaro, con l’irresponsabilità di chi goffamente vuole essere ironica come un personaggio dei suoi testi, dimentica del proprio ruolo – o forse proprio in virtù del piedistallo che quel ruolo le conferisce e che le permette in punta di penna di utilizzare la forma del poemetto invece che l’articolazione approfondita in prosa –, punta il dito con arroganza moraleggiante contro tutti coloro che si azzarderanno a ragionare su questi giorni attraverso la scrittura, peggio ancora, se lo faranno attraverso la scrittura teatrale trovando anche chi finanzi l’allestimento.